14 gennaio 2015


Come molti di voi avranno letto o sentito, con la Legge di Stabilità approvata prima di Natale dal Parlamento è stato istituito un fondo da un miliardo e mezzo di euro – erogabile in due anni – per la cura all’Epatite C.

Il motivo di questo impegno da parte del Ministero della Salute è dovuto all’arrivo sul mercato di farmaci innovativi per l’Epatite C, in grado di modificare significativamente la storia della malattia. I farmaci disponibili a breve saranno quattro: il Sofosbuvir (già negoziato dall’AIFA, e già utilizzabile), il Simeprevir (anch’esso già negoziato dall’AIFA e a breve utilizzabile), il Daclatasvir e l’associazione precostituita di Simeprevir + Ledipasvir (approvati dall’Unione Europea ma non ancora negoziati dall’AIFA).

A questi, nei prossimi anni potrebbero aggiungersene altri, ampliando così ulteriormente le opportunità terapeutiche ma anche la competizione fra i diversi prodotti. Secondo vari protocolli, per il trattamento efficace della malattia, in particolare nei casi più gravi, l’opzione ottimale vedrebbe due farmaci antivirali somministrati in associazione.

Il problema – e di un problema serio si tratta – è dovuto all’elevato costo di questi farmaci. Sono apparsi recentemente sui principali quotidiani e su diverse testate di settore alcuni articoli che parlano del costo del trattamento e della modalità di negoziazione da parte di AIFA sul primo dei farmaci disponibili, il Sofosbuvir. L’azienda che lo produce, l’americana Gilead Sciences, ha imposto dei prezzi molto alti, inaccessibili per la quasi totalità dei pazienti. Si parla, infatti, per coloro che vogliano/possano spendere di tasca propria, di 74.286 € per il costo del trattamento completo al privato cittadino, così come riportato nella Gazzetta Ufficiale.

Viste queste cifre proibitive, è nata la proposta del Ministero di inserire nella Legge di Stabilità il fondo di un miliardo e mezzo di euro destinato a mettere gratuitamente a disposizione dei cittadini il medicinale. Ma nascono due seri interrogativi:

 

  • Il primo è che, nell’accordo siglato con AIFA, è stato previsto l’acquisto di circa 50.000 dosi in due anni, a fronte di una stima variabile tra 4 e 600.000 persone affette dalla malattia in Italia, di cui 70-80.000 in condizioni serie o gravi. Per cui il trattamento a oggi sarebbe destinato solamente ai casi più gravi, e di fatto a circa il 10% dei malati. E quali saranno i criteri di scelta? Chi deciderà quali pazienti dovranno essere trattati? Se effettivamente, come indicato dalla Legge di Stabilità, con il trattamento innovativo si vogliono ridurre i costi che verrebbero risparmiati grazie all’eliminazione della malattia, che incidenza su di essi può avere il trattamento del 10% dei casi (più gravi), senza prendere in considerazione gli stati iniziali della malattia che potrebbero portare nel medio termine ai risparmi maggiori?
  • Il secondo riguarda la negoziazione portata avanti da AIFA con l’azienda americana per il costo del farmaco a carico del SSN. La trattativa è stata segretata. Una scelta apparentemente giustificata dall’opportunità di non interferire con le negoziazioni in corso negli altri Paesi europei, ma che di fatto urta contro la diffusa richiesta di trasparenza nell’operato della nostra Pubblica Amministrazione. Dal momento che il SSN è di fatto sostenuto dai cittadini, non sarebbe corretto far sapere su quali basi sia stata condotta la trattativa e quale sia l’effettivo costo del farmaco per il SSN?

Su queste due questioni ci piacerebbe avere delle risposte!

E forse anche in questa situazione meriterebbe consultare i pazienti!


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