7 aprile 2015

Articolo di Nerina Dirindin, Senatore della Repubblica, XII Commissione Igiene e Sanità, relatrice al nostro convegno in occasione della Giornata mondiale dell'emofilia il 17 aprile a Milano.

La recente indagine conoscitiva del Senato della Repubblica, Commissione Igiene e Sanità, dal titolo “La sostenibilità del Servizio sanitario nazionale con particolare riferimento alla garanzia dei principi di universalità, solidarietà ed equità” presentata a fine febbraio 2015 con un Rapporto intermedio dai relatori D’Ambrosio Lettieri e Dirindin, ribadisce un concetto che già la Commissione Romanov, nel Rapporto relativo al sistema sanitario canadese aveva sostenuto nel 2002, ovvero che “non vi è uno standard su quanto un paese dovrebbe spendere per la salute: un sistema sanitario è tanto sostenibile quanto un paese vuole che lo sia”. Non comprendere la complessità del sistema sanitario, non tenere in debita considerazione che si tratta di uno strumento volto a garantire un bene primario- nonché un diritto fondamentale- come la salute si finisce per vedere il sistema sanitario nazionale come un mero capitolo di spesa. Questo approccio è fuorviante: nel parlare di sostenibilità è necessario ricordare che le politiche per la tutela della salute non sono “spesa”, ma motore di crescita, sono uno strumento fondamentale per la coesione sociale, un potente traino per l’economia e l’occupazione nonché un importante fattore di sviluppo di settori ad alta tecnologia e intensità di ricerca. In questo particolare momento storico, i valori fondanti del nostro sistema sanitario, che ha portato l’Italia ad avere ottimi risultati in termini di accesso ai servizi e di esiti sulla salute - a fronte di un impegno economico inferiore a quello di molti altri paesi dell’area OCSE, rischiano di essere intaccati. Le recenti manovre hanno previsto tagli ai fondi per il Servizio Sanitario Nazionale che arrivano a raggiungere nel 2014 un valore pari a circa mezzo punto di Pil. L’effetto complessivo di tali pesanti restrizioni non può che gravare sulle persone più fragili, alle quali non è più possibile garantire quelle forme di assistenza che, pur con qualche difficoltà, hanno costituito una risposta alle loro esigenze più gravi. A questo si aggiunge il rischio di una progressiva demotivazione degli operatori sui quali ricadono condizioni di lavoro sempre più pesanti e sui quali grava l’odiosa “responsabilità” di negare (o rinviare) l’assistenza alle persone che accedono ai servizi. Tutto questo in un settore che, secondo la Corte dei Conti, è già stato oggetto della “più avanzata e più completa esperienza di quello che dovrebbe essere un processo di revisione della spesa” (Corte dei Conti, 2012). Il rischio è che, di fronte alle gravi difficoltà economiche, siano sacrificati i principi di fondo che il nostro sistema di tutela della salute ha da tempo adottato. È più semplice tagliare intere aree di intervento o rinviare a complesse riorganizzazioni dei servizi, piuttosto che intervenire puntualmente sulle tante, piccole e grandi, inefficienze e inadeguatezze che si celano all’interno di un sistema le cui fondamenta e la cui funzionalità vanno comunque riconosciute e preservate. La crisi non può diventare la giustificazione di un rovesciamento dei principi. Al contrario, la crisi può diventare una potente occasione per impegnarsi a liberare energie e risorse (da destinare a migliorare l’offerta di servizi e reggere l’impatto delle ristrettezze) e per trovare il coraggio di intraprendere quelle azioni, da tempo attese, indispensabili per superare in alcune realtà territoriali le storiche debolezze che gravano su una parte dei cittadini del nostro paese. L’obiettivo è coerente con le evidenze internazionali che mostrano l’Italia fra i primi posti nell’area Oecd quanto a performance complessiva del settore sanitario (anche in termini di efficienza) ma confermano l’esistenza di ulteriori margini di miglioramento. In tale contesto, il problema della sostenibilità non può essere affrontato solo dal punto di vista economico.

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