Il progetto HOPE, iniziato nel 2014, è arrivato alla sua conclusione.

In questi lunghi anni, che hanno visto impegnati i genitori di sei città - Catania, Firenze, Milano, Napoli, Reggio Calabria, Roma – e i formatori, il progetto si è articolato in quattro fasi:

 

  • la prima fase è stata caratterizzata dal lavoro per facilitare nei genitori, a volte soli e spaventati, un senso di aggregazione e solidarietà, ma anche di consapevolezza delle loro “competenze”;
  • per la seconda fase, ragionando su quanto era emerso fino ad allora nei gruppi, abbiamo individuato alcuni temi comuni e costanti nella vita delle famiglie, sui quali centrare e approfondire la riflessione dei genitori;
  • nella terza fase, abbiamo proposto la visione di un film (La famiglia Belier) e utilizzato una struttura di domande per avere un orientamento nei discorsi dei gruppi;
  • la quarta fase è stata, infine, distinta dalla presenza di un testimone cui i genitori hanno potuto rivolgere le loro domande. Visti i temi e le problematiche affiorati nel tempo, abbiamo scelto di portare in ciascun gruppo, sempre accompagnati da Andrea Buzzi, un ragazzo emofilico maggiorenne o i genitori di un giovane uomo emofilico.

 

Il lavoro è stato tanto e tanto l’impegno di chi è riuscito a esserci, con le conversazioni, le merende, i bambini che giocano insieme, la conoscenza reciproca e a volte la scoperta dell’altro. Dagli incontri sono emersi con forza o con timidezza il bisogno di sentirsi capaci, la tensione per fare bene, per non trascurare cose essenziali, il timore di scordare dettagli importanti, tanta ansia per le cose pratiche e per le paure che sono sempre vere pur se a volte esasperate dalla stanchezza. Paure per il presente e per il futuro.

Lo scambio di esperienze  “… io ho fatto così…”, “... non devi aver paura…”, “… aspetta e vedrai che poi...”  ha accolto anche preziosi contrasti di idee. C’erano sia il desiderio di “insegnare” come conforto esperto sia il desiderio di riconoscersi capaci… di avere anche pensieri allegri, grintosi, gentili, proprio mentre ci si raccontava e forse perché si riusciva a raccontarsi raccontandosi.

Come sempre accade, molte parole, idee, dubbi, compariranno nei pensieri di chi ha partecipato ai gruppi e verranno ripensate. Sono le tracce che lascia una esperienza. Nei momenti più impensabili verranno alla mente e continueranno a trasformare i nostri pensieri. L’incontro è uno spazio di relazione ricco di diversità. Parlare o tacere come scelta, abitudine, cultura, non essere della stessa opinione e disapprovare pensieri e comportamenti potrà permettere di consolidare l’intuizione sul valore della diversità. Ma potrà anche accadere che ci venga in mente come si può agire, cosa fare. Noi vorremmo che le parole importanti comparse in tanti modi, spontaneamente o intenzionalmente, lasciassero tracce come le hanno lasciate in tutti noi che abbiamo fatto parte del progetto HOPE. Ne voglio ricordare alcune che ci sembrano importanti: benessere, dubbi, vita sociale (gli altri), solitudine, ansia, paura, energia, rabbia, creatività, incertezza, scoperta. Ognuno ha le sue parole. Ognuno ha il suo modo di usare questa esperienza.

Sono finiti gli appuntamenti mensili, ma HOPE continuerà a vivere in quello che ha lasciato nelle famiglie, nei formatori e in noi, negli incontri che, pur in un’altra forma, verranno: i formatori hanno messo le basi perché i genitori continuino a trovarsi tra di loro; abbiamo ribadito la possibilità e la disponibilità a organizzare per ciascun gruppo uno/due incontri l’anno; in più, in ogni città abbiamo presentato Cpì e la mediatrice familiare della regione di pertinenza perché riteniamo che Cominciamo da piccoli sia l’erede naturale di HOPE.

Allegati:
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