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Non ti scordar di te è il nome che abbiamo voluto dare alla giornata formativa dedicata al personale sanitario che si è svolta l’1 giugno 2019 e che ci proponiamo di portare in giro per l’Italia. Ideata e organizzata con A.C.E. Milano, con la collaborazione di Sonja Riva, Stefano Gastaldi e Banda Sciapó, rappresenta per noi l’attuazione pratica dei concetti esposti nel corso dell’evento per la Giornata mondiale dell’emofilia 2019Nella nostra esperienza quotidiana l’emotività determina, a buon diritto e ben amministrata, i processi di scelta. Le decisioni che prendiamo, anche quando sono rilevanti e riguardano aspetti che mobilitano affetti ed emozioni (per esempio nell’educazione dei figli) non sono infatti basate né esclusivamente né prioritariamente sulla razionalità. In realtà, siamo davvero padroni delle situazioni quando riusciamo a bilanciare pulsioni emotive e analisi razionale. In ambito professionale tuttavia, e in particolare in quello medico, le emozioni sono bandite, sulla base del presupposto sottinteso che la partecipazione emotiva inficerebbe scelte razionalmente fondate. Le emozioni andrebbero quindi tenute a bada, imbrigliate dalla mano sicura della razionalità, quasi si temesse che, aprendo un varco di legittimità, prendano il sopravvento privandoci della capacità di assumere decisioni corrette: una singolare irruzione del pensiero magico, come se bastasse ignorarle o negarle per depurare i nostri comportamenti dalla loro interferenza. Colpisce in effetti che i professionisti sanitari, esposti giornalmente alla sofferenza fisica e morale, non abbiano un supporto, né formativo né psicologico, che collabori a un confronto equilibrato con le inevitabili reazioni che quella esposizione suscita naturalmente nella persona. Ciò va in direzione contraria alla costruzione di quel rapporto empatico fra medico e paziente che pur si riconosce come elemento fondamentale del percorso di cura. Questa vistosa mancanza conferma gli operatori del settore nell’ortodossia scientista della prassi medica, relegando nella semiclandestinità della sfera privata la gestione della relazione umana e delle sue implicazioni emotive. Il burnout rappresenta la risposta più a portata di mano, ma non certo la più proficua. Il seminario che proponiamo vuole essere un contributo a un approccio razionale agli aspetti emotivi e allo sforzo di ricondurli all’interno della cornice professionale di un sapere (e della prassi che ne discende) che a dispetto della deriva materialista trova la sua collocazione naturale nelle humanities. 

Sonja Riva counselor e mediatrice familiare 

Durante il laboratorio esperienzale si è voluto stimolare i partecipanti proponendo un gioco formativo. Questo tipo di attività ha lo scopo di aiutare la persona a cogliere alcuni aspetti del proprio modo di porsi rispetto alla gestione dell’emotività all’interno di una relazione. Essere consapevoli di una propria modalità relazionale è presupposto per la successiva discussione in gruppo al fine di trovare eventuali strategie più funzionali. Il lavoro è stato condotto cercando di agevolare l’espressione personale di ciascun partecipante a seconda del proprio bisogno e volontà e la ricerca di nuovi punti di vista grazie all’apporto del gruppo.

Banda Sciapó compagnia teatrale

Il Teatro mette in scena la vita. È il suo compito, la sua missione. E lo fa alla sua maniera, è una metafora a volte, altre invece è un’immagine forte, cruda. Sempre, ogni volta, è magico e sognante il Teatro, perché svela sorprendendo misteri e parole non dette. Per questo motivo è stato scelto come tramite narrativo e comunicativo nella giornata di formazione Non ti scordar di te organizzata a Milano da Fondazione Paracelso e A.C.E. – Associazione Coagulopatici ed Emofilici di Milano onlus, sulla tematica della relazione tra medico e paziente. La compagnia teatrale Banda Sciapó ha scritto e diretto per l’occasione una pièce originale dal titolo Vite allo specchio inserita con interventi a sorpresa sia nella mattina che nel pomeriggio di lavori in aula.

 

Vite allo specchio è un’esperienza teatrale, e in quanto tale prevede la relazione continua tra chi racconta una storia con parole, immagini, azioni e chi la riceve, la ascolta, la vive. Se poi questa relazione vuole essere autentica ed efficace allora richiede empatia: ti guardo, ti ascolto, intuisco il tuo stato d’animo come fosse il mio, sento ciò che tu senti. In scena un’attrice ed un attore, rispettivamente nei panni di un medico e della madre di un piccolo paziente. Si ritrovano, dapprima distanti e poi sempre più vicini, in un tempo e in un luogo conosciuti da entrambe, ma da ciascuno vissuti in maniera opposta: il medico da una parte ha giurato di prendersi cura e la madre del paziente dall’altra necessita ascolto e risposte. La relazione medico-paziente si riduce a questo? A prima vista si, però la modalità con cui viene gestita fa tutta la differenza. Vite allo specchio si articola in più momenti che vedono modificarsi questa relazione dapprima fredda e distante e sul finire dell’esperienza condivisa e partecipata. Sia il medico che la madre del paziente si rifugiano, per bisogno o per protezione, nelle parole non dette e nelle emozioni non esplicitate, per poi mostrare l’unica pratica relazionale percorribile: quella empatica appunto. Ogni intervento teatrale, sia esso monologo o dialogo, si attiva direttamente verso il pubblico al quale l’attrice e l’attore si rivolgono ingaggiando stati d’animo e anche azioni concrete con il desiderio e l’intenzione di far spazio a domande e riflessioni tanto profonde e scomode quanto necessarie e nutrienti. L’atmosfera si fa vibrante e intensa anche per mezzo delle musiche che si diffondono e accompagnano azioni, sguardi, silenzi in tutte le scene. Un terzo attore prende parola nel finale e a leggìo declama una lettera aperta da paziente a medico dichiarando onestamente il bisogno di essere ascoltato e accudito unitamente al desiderio di essere presente e partecipante all’interno della relazione d’aiuto più preziosa che ci sia: quella tra un paziente e il proprio medico.